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Perché comunicare con Empatia è uno strumento vincente: dai valore agli altri, valorizzi te stesso e crei fiducia

Perché comunicare con Empatia è uno strumento vincente: dai valore agli altri, valorizzi te stesso e crei fiducia

L’empatia ti permette di vedere la vita con occhi diversi, di cogliere l’inespresso, di comunicare in modo efficace e consapevole

L’ empatia è la capacità di entrare in perfetta sintonia con le altre persone, al punto da riuscirne a capire gli stati d’animo. 

Questa dote è fondamentale per ognuno di noi, nelle relazioni personali come al lavoro.

Ho letto di recente dei testi interessanti sull’argomento e spero, con questo articolo, di poterti dare dei buoni suggerimenti su come coltivare e sviluppare l’empatia.

Purtroppo l’individualismo del giorno d’oggi ha tolto “allenamento” alla nostra empatia, relegandola a un lontano angolino della nostra mente e delle nostre abitudini.

Spesso ce ne dimentichiamo, cerchiamo di far valere le nostre ragioni senza ascoltare quelle altrui.

Invece empatia vuol dire riuscire a immedesimarsi negli altri per comprendere le loro emozioni, i loro stati d’animo e, di conseguenza, le loro azioni.

Prima di tutto però dobbiamo imparare ad ascoltare:

“Dio ci ha dato due orecchie, ma soltanto una bocca, proprio per ascoltare il doppio e parlare la metà.”

Epitteto

Ed è proprio la scarsa volontà di ascoltare e il non mettersi nei panni degli altri per capire se hanno compreso le nostre parole e le nostre intenzioni che causa la maggior parte delle incomprensioni.

Empatia: cos’è e perché non devi ignorarla per avere successo nella vita  

L’empatia è un’eccezionale capacità con cui ci sintonizziamo con i sentimenti e le intenzioni altrui.

Eccezionale non perché sia qualcosa di raro o introvabile, ma perché l’empatia ha una potenza straordinaria e, se utilizzata come abitudine, porta risultati reali e che durano nel tempo.

La neuroscienza colloca l’empatia nella circonvoluzione sopramarginale destra della nostra struttura cerebrale, in un punto situato tra il lobo parietale, quello temporale e quello frontale.

Grazie all’attività dei neuroni situati in queste zone (i neuroni specchio) riusciamo ad accantonare, in alcuni momenti, il nostro mondo emotivo e le nostre cognizioni per poter essere più ricettivi al mondo altrui.

Non è semplice e non è per nulla scontato, abituati come siamo a vedere le cose solo da un solo punto di vista: il nostro.

Ascoltando l’altro e provando a vedere le cose dal suo punto di vista, possiamo dire che che stiamo osservando il mondo con occhi diversi, attraverso il filtro dell’empatia.

Solo così possiamo comprendere la prospettiva degli altri e le loro emozioni, come percepiscono e come vivono la loro realtà.

È un’abilità cruciale per la nostra crescita personale e per le relazioni: ci permette infatti di ampliare la nostra percezione sfruttando esperienze diverse.

Comunicazione emapatica

La comunicazione empatica facilita le relazioni perché innalza la relazione a un livello più autentico di benessere individuale e di fiducia dell’altro

Empatia, intelligenza emotiva e sensibilità empatica

Le persone altamente sensibili sono per natura anche molto empatiche, sanno cogliere stati d’animo e sentimenti altrui fino ad addossarsene le problematiche.

L’empatia è dunque una parte indispensabile dell’intelligenza emotiva.

Sviluppare la Sensibilità Empatica non può che migliorare i rapporti interpersonali. 

L’empatia non è percepita da chiunque come un punto di forza, anzi, alcuni credono che essere empatici sia sinonimo di sofferenza, come se si trattasse di un contagio emotivo tramite cui si vive il dolore altrui.

Essere empatici è una dote che deve far conto con il giusto equilibrio delle emozioni, in quanto, come afferma Daniel Goleman, nel suo saggio Intelligenza Emotiva:

“Saper controllare le nostre emozioni è la chiave del benessere psicologico, i sentimenti estremi – le emozioni che diventano troppo intense o che durano troppo a lungo – minano la nostra stabilità.”

Il vantaggio sociale dell’empatia

L’empatia porta con sé un enorme vantaggio socialeSocialità e cooperazione sono infatti i punti di forza di ogni essere vivente sin dagli albori di ogni civiltà.

Riconoscere le emozioni degli altri, e avere la certezza che gli altri riconoscano le nostre, facilita le nostre interazioni.

Accade sia nel piacere sia nel dolore: quando vediamo qualcuno che soffre “sentiamo” il suo dolore. Se invece osserviamo delle persone gioire, siamo in grado di provare quella gioia, che si riflette dentro di noi.

Ma solo se abbiamo imparato a coltivare l’empatia.

Gli aspetti dell’empatia: cognitiva, emotiva e compassionevole 

L’empatia è una dote che presenta diverse sfumature. Ci sono varie forme di empatia*, però sono tre le tipologie più importanti.

È raro trovare due persone che siano empatiche allo stesso modo, ma l’empatia deriva comunque dalla miscela di questi tre tipi di empatia:

1. Empatia Cognitiva

È una tipologia di empatia che permette di intuire chiaramente quello che l’altra persona pensa e di comprenderne a fondo il suo punto di vista. 

Da una parte vi è la comprensione delle emozioni altrui, dall’altra però manca la compassione e il desiderio di preoccuparsi di cosa provano le altre persone e di voler quindi fare qualcosa per aiutarle.

L’Empatia Cognitiva è utilizzata dai grandi oratori, i venditori e i negoziatori.

2. Empatia Emotiva o Affettiva

In questo secondo tipo di empatia, il rapporto che si crea è più profondo e si è in grado non solo di comprendere ma anche di provare davvero dentro di sé le sensazioni delle altre persone. 

L’Empatia Emotiva o Affettiva è quindi un gradino più in alto rispetto a quella Cognitiva poiché ci permette di comprendere e anche sentire sulla nostra pelle gli stati d’animo altrui, ma non necessariamente di provare compassione per essi.

3. Empatia Compassionevole o Sensibilità Empatica

Questa ultima tipologia di Sensibilità Empatica implica quella che viene definita Preoccupazione Empatica.

Nell’Empatia Compassionevole sono riunite le caratteristiche degli altri due tipi di empatia. Siamo quindi in grado di comprendere le emozioni dell’altro, di provarle dentro di noi e in più riusciamo anche a capire come aiutare la persona che abbiamo davanti.

Nasce in noi la compassione e il desiderio di prodigarci per l’altro in modo da alleviare le sue sofferenze e renderci utili al suo star bene. 

È questa quindi la forma di Empatia più vera ed autentica, quella di coloro che ci porta ad essere altruisti e a occuparci del benessere della collettività.

Ognuno di noi possiede alcuni tratti dell’una o dell’altra e ciò va a definire il suo modo di rapportarsi agli altri.

Empatia: strumento vincente per comunicare

Che cosa rende l’empatia uno strumento così prezioso e tale da migliorare il nostro modo di comunicare e di rapportarci con gli altri?

“Se non provi empatia e le tue relazioni personali non sono efficaci, non importa quanto sei intelligente: non arriverai lontano”.

Daniel Goleman

Ti è mai capitato di parlare con qualcuno e di pensare che quella persona ti capisce all’istante come nessun’altro?

La comunicazione empatica permette di innalzare la comunicazione ad un livello superiore e più evoluto, tale da rendere la persona che le utilizza più sicura e consapevole di se stessa, abile e vincente in ogni ambito della vita.

Empatia: strumento prezioso per ottenere fiducia 

Innanzitutto, l’empatia permette di ottenere la fiducia delle persone perché solo creando sintonia tra i soggetti  la comunicazione risulta efficace.

Ognuno di noi desidera essere pienamente capito e compreso.

Il nostro interlocutore si sente capito e compreso ed è normale che vedrà in noi una persona di cui fidarsi.

Proprio perché siamo animali sociali, comunicare efficacemente condividendo con gli altri quello che sentiamo e proviamo è un qualcosa a cui non possiamo assolutamente rinunciare.

Il problema però è che nella società di oggi, in cui tutto corre velocissimo e abbiamo sempre meno tempo, spesso ce ne dimentichiamo e siamo talmente concentrati su noi stessi che non poniamo la giusta attenzione alle emozioni degli altri.

comunicazione empatica

L’Empatia è alla base del nostro vivere vicino e con gli altri, è quel “collante sociale” che ci permette di instaurare relazioni interpersonali stabili e autentiche

Come possiamo quindi pretendere di essere compresi se non siamo noi i primi a farlo con gli altri?

Il vero segreto della Comunicazione Empatica si sposta dunque al piano dell’ascolto.

Questo significa che grazie alla capacità di ascolto, al porre l’attenzione alle sensazioni degli altri, riusciamo a immedesimarci in loro fino a raggiungere quella sintonia emozionale che migliorerà la nostra relazione rendendola più efficace.

Utilizzare la comunicazione empatica è la modalità migliore per assicurarsi il successo nelle relazioni interpersonali poiché comprendere i pensieri altrui  ci pone ai loro occhi come persone piacevoli e con le quali stare bene.

Senza empatia gli essere umani sarebbero personalità solitarie e completamente scollegate tra loro.

E questo vale per qualsiasi ambito la vogliate applicare (lavorativo, sentimentale, sociale): l’empatia sarà quindi sempre uno strumento molto prezioso per aiutarci a relazionarsi al meglio con gli altri.

Per una comunicazione efficace potresti leggere: 
Barriere della Comunicazione: impara a riconoscerle e ad evitarle per creare una comunicazione efficace

Empatia: utilizzo nel lavoro e nella vita

Il successo nella vita è fortemente influenzato da ciò che mostriamo emotivamente nei confronti degli altri. 

Ognuno di noi ha ambizioni diversi, ma tutti abbiamo un desiderio in comune: sentirci compresi e apprezzati.

Nelle relazioni di tutti i giorni l’empatia ha un ruolo importante, perché, per poter creare relazioni stabili, è necessario mettersi nei panni degli altri e capire i loro problemi.

Nel lavoro l’empatia viene sempre più valorizzata negli ultimi anni, poiché i processi aziendali stanno diventando molto complessi e in molti casi è necessario creare team di lavoro che non devono essere motivati da obiettivi individualistici, ma orientati dallo spirito del gruppo.

Lo spirito del gruppo può esserci solamente se tutti i membri imparano a mettersi nei panni dei loro compagni di squadra, risolvendo insieme  i problemi che si presentano.

Inoltre, l’empatia permette di colmare le distanze, aiuta a “sentirci sentiti” (formulazione di Dan Siegel).

Cosa non è l’Empatia

Empatia non significa necessariamente approvazione o adesione. Come non significa rinunciare alla propria personalità o alle proprie idee per soddisfare i bisogni dell’altro. 

L’empatia deve essere autentica.

Le persone non hanno bisogno di instaurare relazioni allo scopo di non sentirsi mai contraddette, ma desiderano parlare con persone sincere e che sappiano ascoltare ciò che hanno da dire senza essere giudicate. 

Sì, perché la vera empatia non conosce giudiziI nostri giudizi riducono la capacità di avvicinarci agli altri mettendoci in un angolo, in un punto da cui godiamo di una visibilità e di una prospettiva limitata: la nostra.

L’empatia non deve avere niente a che fare con gli interessi e con l’egoismo.

Viceversa, la vera empatia ci permette di arricchirci di dignità e rispetto, sentirci apprezzati, liberi e parte di un tutto in cui ognuno è importante.

L’empatia è molto utile nei conflitti o anche con le persone che non ci piacciono. Comprendendole meglio è più facile trovare il modo per comunicare con loro. E, sentendosi capiti, i nostri interlocutori saranno più disponibili ad ascoltare noi.

Leggi anche: Comunica e scrivi in modo empatico: coltiverai relazioni autententiche

Come comunicare con empatia: usa il linguaggio non verbale

Comunicare con empatia e dunque con efficacia è diventato sempre più importante, sia nella nostra vita professionale che in quella privata.

Affinché si possa comunicare con efficacia devi soddisfare le esigenze dei tuoi interlocutori, dal punto di vista razionale ma anche emozionale.

Comunicare con il corpo, sviluppare il linguaggio non verbale è fondamentale quando entrano in gioco le emozioni.

In questo contesto anche il silenzio diventa una forma di comunicazione, in quanto rappresenta quella pausa che permette alla comunicazione di crescere.

Una comunicazione efficace fornisce certamente informazioni, dati, notizie e caratteristiche concrete ma comunica anche emozioni, oltre a comprendere, accettare e gestire lo stato d’animo proprio e altrui.

La comunicazione non verbale va considerata anche sul lavoro, tanto con i clienti quanto con i collaboratori.

I clienti analizzano e valutano le decisioni di acquisto sulla base di fatti, dati e caratteristiche del prodotto ma sappiamo che la decisione che spinge all’acquisto è influenzata dalle emozioni che l’azienda sa trasmettere.

I collaboratori formano la loro idea su di noi sulla base di fatti e caratteristiche della persona, ma decidono se seguirti sulla base delle emozioni, ovvero di quell’insieme di sensazioni e sentimenti che spingono ad agire e che generano fiducia.

Per avere una comunicazione più efficace e fare in modo che il tuo messaggio arrivi nel migliore dei modi a clienti e collaboratori, comincia a mettere un po’ di emozione in quello che dici: usa le mani, muovi il corpo e concentrati anche sul tono di voce.

A questo proposito leggi anche: Comunicazione paraverbale: cosa e come comunichiamo

Come diventare empatici? Ascolta, sii curioso, apriti agli altri

La curiosità verso gli altri è il primo passo per comprendere cos’è l’empatia.

Spesso durante le conversazioni abbiamo la risposta pronta prima ancora che l’altro abbia finito di parlare. Dobbiamo imparare invece ad ascoltare in modo attivo e creativo.

Prendiamoci un momento per considerare ciò che l’altro ha detto e facciamo delle domande per approfondire il suo punto di vista.

Cerchiamo poi di comprendere il pensiero del nostro interlocutore e proviamo a dare un nome alle sue emozioni.

Allo stesso tempo, aprirsi ai propri sentimenti e alle esperienze è fondamentale per poterli gestire e riconoscere in maniera equilibrata e costruttiva.

Abituarsi a questo comportamento permette di allargare i nostri confini di “giudizio e pregiudizio”, limitando l’uso di etichette verso l’altro e facilitando la visione di com’è realmente l’esperienza umana: un’esperienza comune.

Empatia

Sentirsi compresi e apprezzati è un bisogno comune a ogni persona. Ph. Tim Marshall per Unspalsh.com

Rick Hanson, nel testo La forza della resilienza, spiega come sia possibile sviluppare l’empatia, proprio come qualsiasi altra risorsa psicologica.

Alcuni metodi per rafforzarla sono:

  • immergersi a fondo nella propria interiorità. La consapevolezza di sé e degli strati più profondi dell’esperienza rafforza la consapevolezza degli altri;
  • assumere il punto di vista altrui, prendendo coscienza del fatto che quanto a noi appare evidente e importante potrebbe non esserlo per gli altri. Ognuno è plasmato dall’ambiente in cui vive;
  • arricchire il proprio bagaglio di competenze “culturali” confrontandoci con persone di provenienza diversa dalla nostra ci rende consapevoli di preconcetti inconsci e più rispettosi dei bisogni altrui;
  • imparare a cogliere le micro espressioni dell’altro, a guardarlo negli occhi e a non fermarsi alla superficie, proprio per cogliere le esigenze e le sofferenze più profonde che potrebbero celarsi dietro a un atteggiamento aggressivo;
  • imparare ad affinare la comprensione: formulare ipotesi è un elemento chiave dell’empatia. Correggere poi le interpretazioni inesatte è importante per raggiungere una comunicazione empatica più autentica.

Come uscire vincitori da ogni trattativa? Crea empatia. Controlla le emozioni. Ascolta. Prendi tempo

La testimonianza di Jack Cambria, uomo che ha fatto dell’empatia e del controllo delle emozioni la sua carta vincente racconta, in un’intervista a Millionaire**, quali sono le regole di una buona negoziazione.

«Controllare le emozioni: se non le controlli tu, saranno loro a controllare te.
Creare empatia con la persona con cui stai parlando.
Ascoltare, più che parlare: il rapporto deve essere 80% ascolto e 20% dialogo».

La negoziazione nelle aziende è la stessa dei momenti di crisi

«Noi negoziamo di continuo, anche per questioni banali, come il film da vedere in tv.
I principi base per le forze di polizia assomigliano a quelli delle aziende: bisogna stabilire un rapporto, capire l’orientamento della controparte, trovare un punto di contatto, ottenere la fiducia e chiudere la negoziazione.
Una negoziazione riuscita è quella in cui entrambe le parti sono soddisfatte. Ma non va sempre così bene.
Un abile negoziatore deve imparare a gestire le crisi, il caos, lo stress psicologico».

Jack Cambria, italo-americano di Brooklyn, è un ex comandante della squadra di negoziazione ostaggi della polizia di New York.

Con un’esperienza di oltre 5 mila negoziazioni in 34 anni di servizio, Cambria oggi insegna a poliziotti e manager a gestire situazioni delicate sottolineando l’importanza dell’ascolto.


**Intervista tratta da Millionaire di dicembre-gennaio 2020.
*Tipologie di Empatia e approfondimenti: Alessandro Ferrari

Esistono molti testi sull’empatia, ma un libro che ti consiglio di leggere è Intelligenza emotiva di Daniel Goleman.

Creo e gestisco contenuti per blog e siti web e scrivo testi ottimizzati SEO per un migliorarne il posizionamento sui motori di ricerca.

Da qualche anno tengo Corsi di Comunicazione e scrittura per il web per scuole e privati.

Ho una laurea magistrale in editoria e giornalismo, amo da sempre leggere e andare in montagna, palestra di vita.

Sara Soliman

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Smart Working: 8 consigli per lavorare da casa in modo produttivo. Scopri i dati delI’Indagine di InfoJobs sullo Smart Working ai tempi del Coronavirus

Smart Working: 8 consigli per lavorare da casa in modo produttivo. Scopri i dati delI’Indagine di InfoJobs sullo Smart Working ai tempi del Coronavirus

L’emergenza epidemiologica causata dal Coronavirus ha determinato il ricorso per molti di noi allo Smart Working, il cosiddetto “lavoro agile”, che si svolge prevalentemente nella nostra casa.

Per Smart Working si intende una modalità lavorativa dipendente in cui non ci sono vincoli di orari e in cui non vi è una postazione fissa, ed è questo che lo differenzia dal “telelavoro”.

Anche se per molti si tratta di un modo di lavorare del tutto nuovo, in realtà lo Smart Working è stato adottato negli ultimi anni da un numero sempre maggiore di aziende, grazie anche all’inquadramento normativo con la Legge 81/2017.

Flessibilità, autonomia, responsabilizzazione e orientamento ai risultati: queste le parole chiave che sintetizzano la filosofia (e la pratica) che sta alla base dello Smart Working, che può essere applicato con numerosi vantaggi non solo all’interno delle aziende, ma anche all’interno della pubblica amministrazione.

Ma vediamo meglio cos’è lo Smart Working, come funziona e qualche consiglio per lavorare al meglio dalla propria abitazione.

 

Lo Smart Working: una rivoluzione culturale

Lo Smart Working scardina alla base consuetudini e approcci tradizionali del mondo del lavoro subordinato: possiamo leggerlo come una rivoluzione culturale e organizzativa del processo lavorativo.

Probabilmente sarà il modo di lavorare del futuro, basato su una cultura orientata ai risultati e su una valutazione legata alle reali performance.

Interessante la definizione che il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali dà dello Smart Working:

“lo Smart Working (o Lavoro Agile) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”.

Nel 2015, l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano ne dava la seguente definizione:

“Si tratta di una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”

L’approccio lavorativo dello Smart Working presuppone quindi un profondo cambiamento culturale e una revisione radicale del modello organizzativo dell’azienda, sia essa pubblica o privata.

Il ripensamento e la riorganizzazione delle modalità lavorative avvengono non solo fuori, ma anche all’interno dell’azienda e questo si ripercuote anche sull’organizzazione degli spazi aziendali, che devono essere sempre più ispirati ai principi di flessibilità, virtualizzazione e collaborazione tra le persone.

 

smart working

Lo Smart Working offre numerosi vantaggi alle aziende e al lavoratore

 

Lavorare da casa: 8 consigli utili

Lavorare da casa ha certamente i suoi vantaggi, come la flessibilità di orari e luogo e il non doversi spostare. Ma come ogni situazione c’è anche l’altro lato della medaglia, come la facilità a distrarsi.

Quando si lavora da casa si rischia o di fare troppo oppure di essere disorganizzati e non rispettare le scadenze. Le distrazioni sono molte, soprattutto per chi ha figli.

Riporto di seguito alcuni consigli che possono essere d’aiuto a chi, in questi mesi, lavora da casa ma anche a chi, per tipologia di attività, ha impostato la sua professione da casa.

1. Scegli un angolo della casa e trasformalo nella tua postazione di lavoro

Avere in casa una postazione per svolgere il proprio lavoro, un angolo ben organizzato dove tenere tutto ciò che serve a portata di mano, è molto importante. Meglio se è un luogo luminoso e lontano da fonti di distrazione come frigorifero e televisione.

2. Stabilisci un orario di lavoro, comprese le pause

Bisogna darsi degli orari, proprio come in ufficio e rispettare le varie pause, specie per chi lavora seduto e al pc. Questa regola è molto importante, altrimenti si rischia di lavorare tutto il giorno (o di concludere poco). Ovviamente il tipo di attività incide, ma l’obiettivo non è lavorare di più ma lavorare meglio ed essere produttivi.

3. Vestiti come se dovessi uscire

Non lavorare in pigiama, vestiti e non lasciarti andare: l’immagine professionale è importante per se stessi e per gli altri. Anche perché può capitarti la videochiamata improvvisa.

4. Utilizza un buon tool per organizzarti al meglio

Per organizzare il proprio lavoro esistono tanti strumenti, alcuni gratis. Trello, Basecamp e Workzone, per citarne alcuni. Questi strumenti di project management servono a:

  • pianificare un progetto
  • condividerlo con colleghi o clienti
  • fissare scadenze
  • lavorare in team
  • definire il budget

Insomma, tutto quello che occorre per pianificare il lavoro anche con altri collaboratori.

5. Fissa le scadenze e rispettale

Quando si lavora da casa si tende a fissare delle scadenze a breve perché si pensa di avere più tempo rispetto a quando si lavora in ufficio. Ma non è così, non dobbiamo pensare di dedicare tutto il tempo al lavoro: abbiamo degli orari da rispettare e le pause servono proprio per ricaricarci.

Sicuramente per progetti importanti si possono fare delle eccezioni, ma è giusto che questa resti un’eccezione e non sia la regola.

Segnati il tempo che ti serve per portare a termine un progetto e usalo come esempio per fissare le tue scadenze.

6. Rispetta le pause e usale per muoverti

Per chi svolge un lavoro sedentario, fare attività fisica è un dovere. Il minimo è almeno 30 minuti di camminata al giorno e un po’ di stretching. Puoi fare gli esercizi a casa, ma se hai la possibilità esci all’aperto per camminare (purtroppo questo è il periodo meno adatto): ti aiuta a liberare la mente e a riprendere il lavoro con meno stanchezza.

7. Mangia in modo sano e bevi acqua

Lavorare da casa offre un altro grande vantaggio: potersi preparare dei pranzi salutari. Verdura, legumi, frutta e frutta secca non devono mai mancare: in questo modo si evitano problemi di sonnolenza e concentrazione. Ricordati di bere almeno un litro e mezzo di acqua al giorno (la classica bottiglietta d’acqua accanto al pc è sempre una buona idea).

8. Fissa un giorno della settimana per le Skype-call con colleghi e clienti

Troppe chiamate durante la settimana ti distraggono e deconcentrano dal tuo progetto. Meglio fissare un unico pomeriggio e concentrare le chiamate per poi riprendere il lavoro con più tranquillità.

Sicuramente non è facile mettere in pratica queste abitudini per lavorare da casa: i cambiamenti richiedono del tempo per imparare ad adattarsi a nuove realtà. Ma con l’impegno si raggiungono sempre dei buoni risultati.

 

Diffusione dello Smart Working: aziende a PA

Il percorso verso lo Smart Working nella PA è ancora all’inizio, anche se in crescita: infatti nel 2018 in Italia già il 56% delle grandi aziende aveva avviato iniziative strutturate di Smart Working, contro l’8% delle amministrazioni pubbliche (dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano).

Per favorire la diffusione dello Smart Working centrale è il tema della comunicazione, sia interna (mostrando i vantaggi dell’approccio) che esterna, attraverso la diffusione e la conoscenza delle buone pratiche realizzate.

Sono disponibili da luglio 2019 anche i primi dati sullo stato di avanzamento dello Smart Working nella PA, diffusi nell’ambito del progetto “Lavoro agile per il futuro della PA – Pratiche innovative per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro“, finanziato dai Fondi Strutturali Europei.

I dati parlano di:

  • un 28% di amministrazioni già oltre la prima sperimentazione, quindi in una fase di sviluppo dei progetti di lavoro agile;
  • un 31% con sperimentazioni in corso;
  • un 41% in fase di avvio delle sperimentazioni.

In realtà quest’ultimo mese di sperimentazione di Smart Working (marzo-aprile 2020) ha trovato ampi consensi nel mondo dei gestori delle risorse umane, anche se all’inizio nessun capo del personale avrebbe voluto addentrarsi in una tale esperienza. Anche quelle realtà fino a pochi giorni prima impegnate in continue riunioni operative hanno scoperto le possibilità offerte dalle videoconferenze, anche collettive.

Chi pensava che solo il contatto tra capo e sottoposto potesse garantire controllo e produttività solo tramite contatto diretto (e dunque in azienda) si è dovuto ricredere.

Da un approfondimento sul Lavoro agile de Il Sole 24 ORE oggi sappiamo che:

  • ENI ha instaurato il lavoro agile per 16mila dipendenti in tutta Italia;
  • ENEL sono 36mila i dipendenti connessi al proprio team;
  • TIM ha coinvolto nello smart working più di 32mila dipendenti;
  • VODAFONE ha come obiettivo la totalità dei dipendenti in smart working (ora raggiunge il 95%);
  • MEDIASET ha 2,5mila dipendenti in lavoro agile;
  • CRIF, 5mila dipendenti in 4 continenti.

Ulteriori approfondimenti e casi sulla Guida de Il Sole 24 ORE.

 

Smart Working

Smart Working in Italia, prospettive per il futuro (Guida de Il Sole 24 ORE, fonte dati Osservatorio del Politecnico di Milano)

 

L’indagine di InfoJobs sull’attuale situazione di Smart Working in Italia

I dati emersi dall’indagine di InfoJobs in Italia rispecchiano un Paese che ha risposto all’emergenza utilizzando lo Smart Working in modo ampio: il 72% delle aziende ha messo a disposizione in tempi brevi mezzi e strumenti per permettere ai dipendenti e collaboratori di proseguire il lavoro da remoto.

Tuttavia, non tutte lle funzioni possono essere svolte in Smart Working.

Dai dati di InfoJobs risulta quindi:

  • i lavoratori italiani in smart working sono il 15%;
  • il 45% (50% per le donne) risulta a casa senza reddito;
  • il 25% risulta in congedo;
  • il 13% si reca ancora sul luogo di lavoro.

Ad oggi:

  • il 56% delle aziende che hanno attivato lo smart working dichiara di applicarlo per la prima volta;
  • il 29% l’ha esteso a più figure o su più giorni;
  • il 79% dei lavoratori afferma di adottare lo Smart Working per la prima volta;
  • per il 14,5% sono solo cambiate le modalità di fruizione;
  • per il 6,5% non c’è stato alcun cambiamento rispetto a prima.

Indagine Smart Working

Smart Working, Indagine InfoJobs, aprile 2020

 

Smart Working e tecnologia

La tecnologia (pc, tablet e smartphone) ha un ruolo importante nello Smart Working.

Come abbiamo detto in questo approfondimento, lo Smart Working implica anche una riorganizzazione dell’ambiente di lavoro dove la tecnologia ne diventa parte integrante ed è grazie a essa che forme di lavoro collaborativo sono possibili.

Secondo la legge il datore di lavoro non deve necessariamente mettere a disposizione del lavoratore le tecnologie per lavorare da casa: la logica è quella del Bring your own device (BYOD), ovvero la possibilità di usare i propri dispositivi personali fuori (e dentro) il posto di lavoro.

Ciò implica un’attenzione particolare ai temi della sicurezza, perché diventa fondamentale oggi, come non mai, proteggere sia i dati aziendali sia pc e tablet del dipendente.

 

 

Articolo a cura di Sara Soliman
AEsse Communication

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Sgarbi ci insegna come difendere la lingua italiana

Sgarbi ci insegna come difendere la lingua italiana

In questi giorni Vittorio Sgarbi è sceso in campo a difesa della lingua italiana.

In un post su Twitter e su Facebook, il celebre critico d’arte propone la cancellazione di alcune parole  – a suo parere  – assolutamente da abolire.

E accetta suggerimenti per arricchire la lista delle parole da depennare, che si possono inviare direttamente a lui tramite i Social.

Ecco le parole incriminate: location, apericena, evento, sinergia, taggare, fashion.

Oggi, la lingua parlata è piena di “tossine grammaticali”, modi di dire o espressioni che sono entrate nel lessico comune, ma che fanno a pugni con la correttezza e la sensibilità linguistica.

Se ragioniamo nell’ottica dell’utilizzo della nostra lingua madre, dobbiamo ammettere che fashion e location hanno il loro rispettivo vocabolo italiano: perché non utilizzare questo?

Anche taggare è un inglesismo (con adattamento), diventato di uso comune nei social ma sostituibile in modo efficace con i termini segnalare o contrassegnare.

Apericena, moderna invenzione che nasce dall’unione di due parole, trovo invece sia inutile e cacofonica, una storpiatura senza alcun vantaggio, a meno che abbiate fretta!

Per ciò che riguarda le parole evento sinergia, oggi abusate, se utilizzate invece nel modo corretto e non metaforico, credo siano adatte a esprimere un concetto preciso: non vedo dunque il motivo di tanto orrore.

Buonismo

Non vi nascondo d’aver colto al volo l’invito di Sgarbi e gli ho scritto che aggiungerei alla sua lista la parola buonismo.

Anche un attimino, vocabolo in voga da qualche anno, direi che è fastidioso: non si differenzia dall’originario un attimo e porta con sé quell’idea di falsa gentilezza spesso inopportuna.

Buonismo è invece una parola che detesto, proprio per l’ampio uso ideologico che in Italia se ne è fatto da una decina di anni in qua e se ne continua a fare.

Tra l’altro è una parola squisitamente made in Italy, amanti come siamo noi degli –ismi, specie quando si tratta di affibbiarli agli altri.

Buonista sarebbe chi ostenta buoni sentimenti, anche in politica, colui che è tollerante fino all’ottusità.

Sinceramente, a me sembra che:

chi pretende di criticare l’ostentazione critichi in realtà i buoni sentimenti in quanto tali.

E chi accusa di ottusità il tollerante forse tenta di nascondere dietro un dito la propria intolleranza.

Piuttosto che

Ovvio che “queste parolacce” o anche veri e propri errori grammaticali (uno per tutti il diffusissimo ed errato piuttosto che usato in funzione alternativa, dunque al posto di una -o- , anziché in funzione oppositiva) non dovrebbero entrare nel vocabolario di chi di comunicazione vive.

Frequente anche l’uso smodato dell’avverbio presso, erroneamente utilizzato al posto della preposizione in quando indica un luogo e al posto di tra-fra per indicare un gruppo di persone.

In ogni caso, al sorgere di un dubbio, la cosa migliore da fare è quella di consultare un buon dizionario della lingua italiana o un dizionario dei sinonimi, sempre ottimi compagni di viaggio.

Le parole sono importanti mezzi per trasmettere emozioni e concetti e devono essere scelte con cura.

Perché ciò non avviene?

Per sciatteria, per eccessiva sicurezza, per mancanza di rispetto verso quel vincolo identitario più forte che tiene unito (o almeno dovrebbe) un popolo: la lingua.

E voi, quale altra parola aggiungereste alla lista?

 

Articolo a cura di Sara Soliman
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Il Freelance, la Rete e il dilemma del porcospino

Il Freelance, la Rete e il dilemma del porcospino

In una società del lavoro sempre più veloce e incontrollabile si diffondono non solo nuove professioni, ma anche nuove dinamiche.

In questo contesto il ruolo del freelance trova uno spazio che si colloca tra la necessità di essere considerato con uno specifico ruolo e la sensazione di una costante instabilità, professionale e relazionale.

Bisogna essere coscenti del fatto che chi lavora come freelance, senza contratti di lungo termine o alle dirette dipendenze di un superiore, deve essere ben allenato a guardarsi dentro (profilo caratteriale e delle competenze) e auto-organizzarsi.

Si viaggia a vista e, soprattutto quando ci sono, i compagni di viaggio si scelgono in itinere. 

Proprio così. Nella complessità di un mercato globalizzato e globalizzante per competere è indispensabile “crearsi una rete” di freelance che detengano quelle abilità troppo complicate da assimilare nel breve periodo.

“Savoir, faire, savoir faire et faire savoir” è il motto che serve per affrontare un mare solcato da venti burrascosi.

E come le vele di un catamarano la flessibilità e l’ adattamento alle criticità del lavoro di gruppo diventano caratteristiche lavorative indispensabili.

Ecco che il fine, il raggiungimento dell’obiettivo (termine del progetto), diventa il fil rouge che funge da collante tra i componenti del team.
Uno sforzo di adattamento che supera il vecchio proverbio “chi fa da se’ fa per tre”.

Oggi non si è più chiusi, non si vive più nella diffidenza e nella segretezza del proprio sapere in quanto le problematiche complesse non sono più risolvibili singolarmente.

L’unione supera la singola ragione: la spiegazione valida e utile si completa con la somma dei due punti di vista.

La realtà dialogica ci completa, almeno in questo contesto.

Emergono i tratti strutturali e ideologici del freelance, una profonda consapevolezza del proprio sapere ma anche dei propri limiti.

“Conosci te stesso”, Socrate docet, perchè solo così sarai in grado di affermare la tua autorevolezza. Fermarsi dove non si conosce un argomento non significa arretrare ma essere sinceri con il cliente.

In una recente intervista di Alessandra Farabegoli allo psicologo Stefano Pasqui viene citato Arthur Schopenhauer.

Schopenhauer affermava, con il dilemma del porcospino, che d’inverno per stare caldi bisogna avvicinarsi, ma avvicinandosi ci si punge a vicenda.

Questo vale anche per noi: condividere un percorso con qualcuno significa stare vicini con il rischio di entrare in conflitto.

Accettiamo i nostri limiti e apriamoci a quelli degli altri. La perfezione non esiste.

Anche questa è la Rete.

 

 

Articolo a cura di Sara Soliman
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